Quattro passi fra le parole

Quattro passi fuori in mezzo al bosco, immersi nella natura. Respirando aria fresca e lasciandoci accarezzare dal tiepido sole. Quattro passi tra le parole servono a spalancare le finestre della mente lasciandoci trasportare dentro un viaggio immaginario.
In luoghi magici, inaccessibili dove trovano forma tutti i nostri sogni.
O incubi, perché no?

 


23/04/2024 Tutto è relativo.

Così affermava Protagora, filosofo del V secolo a.C. Secondo il quale non esistono opinioni giuste e opinioni sbagliate perché non esistono certezze.

In effetti, tutto dipende dal punto di vista di osservazione. Ciò che può essere giusto per me potrebbe rappresentare un errore per un'altra persona. Ciò che è giusto ed etico in Italia forse non lo è in un'altra nazione. Però io dissento con questa spiegazione. Se per me va bene mangiare con le posate e in Asia no, non è un punto di vista che ha a che fare con il relativismo, ma riguarda gli usi e i costumi di un popolo. Così per le leggi, il detto "Paese che vai legge che trovi" è una grande verità. Se vogliamo poi sindacare su chi detiene la verità assoluta, se il nostro paese o un altro, ci infiliamo in un ginepraio difficilmente districabile. Se gli usi e i costumi di un popolo ne hanno legittimato anche le verità, le loro proprie verità, chi siamo noi per dire che sono gli altri in torto piuttosto che noi?

C'è un però, in tutto questo, e nasce dalla ragione, e richiede l'uso del buon senso. Perché se è vero che la maggior parte degli usi e costumi di un popolo non danneggiano la persona ve ne sono altri che il buon senso, la ragione, depreca. In questo caso non si può dire che tutto è relativo e risolvere così il dilemma. Il relativismo si può risolvere in una forma di egoismo e disinteresse in cui nulla ha valore. Un modo per lavarcene le mani di quanto accade intorno a noi, un modo per assolvere il nostro menefreghismo, la nostra apatia nei confronti delle ingiustizie, il nostro divenire asociale. Perché sì, si diventa asociali quando ci si pone sul gradino più alto e si prendono le distanze dalle persone, soprattutto da quelle bisognose, in nome di un fantomatico relativismo.

Genitori che uccidono i figli per motivi religiosi. Uomini e donne torturati, impiccati, sempre per motivi religiosi. Bambine date in sposa. Donne che subiscono ancora oggi le peggiori umiliazioni solo perché sono donne. Paese che vai, legge che trovi. Tutto relativo? No, tutto deprecabile.

Protagora affermava che la conoscenza è sempre condizionata dal singolo individuo e che non esistono criteri universali: nulla è vero, nulla è falso, ma tutte le opinioni sono vere. Negando così l'esistenza della verità assoluta in quanto è relativa all'opinione soggettiva. Però, se neghiamo l'esistenza di una verità oggettiva mancheranno concetti fondamentali come il vero e il falso, il giusto e lo sbagliato, il bene e il male.

Non si può vivere in una società in cui le leggi sono soggettive perché non ci sarebbe giustizia. Potremmo vivere tutti insieme come uomini non avendo nulla che ci accomuna? Però non si può affermare che tutto sia oggettivo visto che ogni giorno ci troviamo in situazioni diverse e abbiamo opinioni diverse. Non riusciremmo a vivere se fossimo tutti esattamente uguali.

Queste affermazioni apparentemente contradditorie in realtà sono complementari. Il buon senso sta nel mezzo, tra luce e buio, torto e ragione. L'equilibrio diventa allora la migliore espressione del "tutto è relativo". E dovrebbe essere la forza motrice delle nostre azioni e pensieri.

In un mondo multiculturale è necessario che l'equilibrio guidi le nostre azioni. L'equilibrio si riferisce a una condizione di stabilità o armonia tra diverse forze o aspetti della vita, per esempio: il bilanciamento tra lavoro e vita privata, tra salute e benessere mentale e stabilisce delle priorità. Ma l'equilibrio ha bisogno della saggezza per divenire una condizione stabile e significativa e inserirsi nel concetto di relatività. La saggezza è la capacità di prendere decisioni ponderate, basate su una comprensione profonda e una visione a lungo termine.

Quindi, con esperienza, conoscenza e discernimento si raggiungerà un equilibrio che sarà l'espressione migliore di una visione relativista. 

Allora, ci si può chiedere: ma a chi serve mantenere una visione relativista come espressione di verità non assoluta ma circoscritta ad avvenimenti, a nazioni, a culture, differenti? 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


14/04/2024 Mi sento una bellissima nebulosa che splende sopra il deserto in una notte di mezza estate.

 

Delusioni, perdoni, di nuovo accettazione, poi ancora baratri, illusioni, poi di nuovo in cima alle vette più alte, e di nuovo ricadute, maledizioni, stanchezza, e ancora risalite, vita, gioia, e di nuovo...

Il ciclo della consumazione della vita - è bene precisare NON della VITA ma la sua progressione - è questo, per tutti. Non c'è scampo, non aiuta il ceto sociale di appartenenza (che schifo di frase!) né quanto tu sia bello o quanta istruzione hai: il dolore, la delusione, la disperazione, la malattia e la morte appartengono a tutti noi. Ho incontrato molte persone nel mio cammino e vi assicuro che nessuno è immune dai dispiaceri, nessuno è mai risorto, nessuno senza l'intervento di un miracolo è mai guarito da un carcinoma all'ultimo stadio. La felicità è un bene prezioso ma è anche l'attitudine che noi adottiamo nei confronti del nostro cammino su questa strada che abbiamo davanti e che si chiama vita. Ma no, non ho detto che dobbiamo essere ottimisti o avere un pensiero sempre positivo o tenere pulite le nostre energie per sentirci sempre al massimo, né che dobbiamo sempre contare sugli altri, o cercare parole di conforto, o aiuti. Se pensassimo che questo può bastare saremmo in errore. Vero è che l'unione fa la forza, quindi è giusto cercare aiuto nel momento del bisogno, ed è anche giustissimo avere un atteggiamento positivo (e mantenerlo nelle difficoltà? ti risulta possibile?). Però, alla fine, sono tutte chiacchiere. Sono espedienti che mettiamo in atto per non soccombere, per raccontarci che domani sarà un altro giorno, che c'è speranza, che qualcosa all'improvviso volgerà a nostro favore. L'uomo deve credere che riuscirà. E, in fondo, perché no? è un atteggiamento utile. Ma cosa mi dici di quelle persone che nonostante siano sempre positive, ottimiste, combattive, non riescono mai a cambiare il loro percorso? Perché è vero: tante brave persone, meritevoli di avere una vita migliore, o anche solo tranquilla, a volte basterebbe anche solo la tranquillità, non arrivano mai a uscire da quello che io chiamo "Il cerchio della sfiga". Sono sincera: non so se credo nel destino, però non penso nemmeno, come spesso sento dire, che è colpa di quelle persone perché in realtà non fanno nulla per cambiare. Se hai un lavoro sottopagato, sei rimasto vedovo, hai due figli che vanno a scuola, non hai più nessun familiare al mondo, mi dici tu come fai a migliorare la tua situazione? Esempi ce ne sarebbero a camionate ma sono sicura che anche intorno a voi ci sono famiglie nel bisogno e conoscerete di certo alcune situazioni "complicate", quelle di cui spesso diciamo: "Che situazione! Poverini, al posto loro non so proprio come farei!" Poi ci si mette a tavola e guardiamo la televisione o il cellulare (che orrore!). Sì, ci sono vite che non miglioreranno mai, però possono provare dei momenti più sereni, altri anche felici, per poi ripiombare nel dolore, o nella quotidiana banalità di una vita strappata coi denti a quel qualcosa di indefinito che sembra che non voglia proprio che tu ce l'abbia una vita.

E niente, vi capisco. Ma sapete una cosa? Queste persone sono quelle che sanno sognare e finché continueranno a sognare la loro vita avrà un senso. Loro sanno entrare nel mondo dei sogni e strappare sorrisi ai demoni. Possono immaginare un mondo fantastico, dove ogni cosa è al proprio posto. Molte di queste persone sono state e sono anche oggi poeti, scrittori, pittori, scultori, fotografi, disegnatori, musicisti, compositori, cantanti, attori, etc. (ovviamente coloro che non hanno mai raggiunto una certo successo o fama, almeno per come la intende la società). Perdiamo delle menti fantastiche, dei pittori eccezionali, dei musicisti meravigliosi, dei poeti eccelsi, e così via. Ma perdiamo anche delle mamme speciali, delle cuoche provette, delle lavoratrici infaticabili e dei padri speciali, dei bravissimi insegnanti, dei filosofi altissimi, e così via. 

La parte migliore del mondo ce la perdiamo in nome della nuova trinità: Denaro/potere/successo.

Allora voglio immaginarmi come una nebulosa visibile sopra il deserto in una notte di mezza estate: una visione estatica, nel silenzio profondo delle dune, nel profumo di sandalo. E, lì dentro, ci siamo tutti noi.

 

Nebulosa spiegazione semplice: una nebulosa è una gigantesca nuvola di polveri e gas nello spazio materiali espulsi dall'esplosione di una stella. Altre nebulose sono ricche di polveri e gas perché nuove stelle stanno formandosi. Alcune nebulose sono regioni di intensa formazione stellare e si chiamano star nursery.

 

 


Photo by Anfisa Eremina

 

16/08/2020. Dobbiamo fare qualcosa, qui, adesso, per cambiare le cose.

 

L'uomo non è un animale sociale e non è qualcuno di buono, fondamentalmente è un egoista che può però decidere di sfruttare al meglio il suo potenziale per "essere"  umano.

 

Come disse Aristotele nella sua "Politica" l'uomo è un animale sociale in quanto tende ad aggregarsi con altri individui e a costituirsi in società. Ma la socialità è un istinto primario o è il risultato di altre esigenze.  

Io credo che sia una combinazione di questi due fattori: l'uomo per istinto si aggrega con i suoi simili per ottenere aiuto e protezione poi impara a essere sociale per trarne innumerevoli vantaggi. Per questo l'essere umano ricerca la compagnia dei suoi simili. A pensarci bene, non è forse vero che anche il piacere sessuale, il piacere di avere amici con cui parlare, di mangiare un cibo prelibato, di vestirsi con abiti costosi, di avere una promozione sul lavoro e più denaro da spendere, di costruirsi una famiglia felice, di godere di buona salute, di sentirsi apprezzato e incluso in un contesto sociale, sono tutti piaceri che richiedono l'interazione con altri esseri umani?

Fin dai tempi in cui l'uomo viveva, pare, nelle caverne ha sempre cercato di fare qualcosa per se stesso, per vivere meglio, per avere di che nutrirsi, coprirsi e ripararsi dalle intemperie. Fin qui nulla di male, che l'uomo abbia imparato presto che l'unione fa la forza, che il baratto serve per avere beni di prima necessità, che è necessario costruire una società dove vivere al sicuro. Ma non ha messo in conto il fatto che può diventare un essere sociale solo per soddisfare i propri bisogni ma che non ha socialità. Anche i rapporti di amicizia e di amore nascono su una base di reciproca convenienza: finché soddisferemo le aspettative l'uno dell'altro saremo amici o amanti. Certo la vicinanza all'altro crea e dona piacere, i sentimenti sono il motore della vita ma, chissà perché, quando le cose si mettono male viene a mancare persino la clemenza e la tolleranza, e due persone che fino a poco prima si amavano arrivano anche a odiarsi. Per non parlare poi degli interessi economici in gioco. Dobbiamo ammetterlo, l''essere umano si raggruppa solo per soddisfare le proprie esigenze e da predatore qual è travalica sempre quella sottile linea di confine tra ciò che è lecito e ciò che non lo è, tra ciò che è suo e ciò che appartiene ad altri. E, quando c'è da scegliere tra la sua vita e quella dell'altro l'istinto lo porta a decidere per se stesso, a essere egoista.

Potreste obiettare che è una visione piuttosto catastrofica e meschina, che l'uomo è anche magnanimo, generoso, aiuta il suo prossimo. Sì, è vero. Ciascuno di noi, anche il più abbietto degli uomini, ha compiuto un'opera di bene almeno una volta nella sua vita. Poi ci sono le persone che compiono opere di bene come stile di vita. Poi ci sono persone che con il loro lavoro ci proteggono, ci salvano, ci aiutano. Ma questo non significa che l'uomo sia un animale buono o sociale perché, se così fosse, lo saremmo tutti. Non possiamo nemmeno dividere l'umanità in due specie distinte: i buoni e i cattivi perché anche le persone generose, magnanime, comprensive, caritatevoli, hanno compiuto almeno una volta nella loro vita degli atti che con la nobiltà hanno ben poco a vedere. Certo, poi si sono pentite e ravvedute e hanno deciso di vivere in modo meno egoistico, di essere persone buone. Ma sapete perché esistono queste persone? Perché hanno fatto una scelta dopo avere visto la crudeltà dell'uomo all'opera, dopo avere compreso che, al di là di qualche sbaglio che qualsiasi uomo imperfetto può compiere, la cattiveria e l'egoismo umano non hanno limiti.

Perché, è vero, nell'uomo c'è un potenziale inespresso di bontà d'animo e capacità sociali che potrebbe originare la società perfetta, se solo volesse. E, proprio qui sta il nocciolo della questione. E, proprio qui si manifesta la sua vera natura. Chi per bramosia, chi per necessità, ma tutti ubbidiamo a una sola regola: l'istinto di conservazione. Anche se non ci pensiamo, non lo ammettiamo, è proprio la lotta per la sopravvivenza che spesso ci induce a pensare prima a noi piuttosto che agli altri. 

Io voglio avere una bella casa, un'auto potente, soldi, casa al mare, ai monti, prestigio, fama, essere il numero uno. Io ho bisogno di un tetto, di cibo per sfamare me e la mia famiglia, di un mezzo per recarmi al lavoro, di soldi per l'istruzione dei miei figli e per curarci. In mezzo, tra questi due estremi, ci sono quelli che vivono in bilico tra la paura di diventare più poveri e quindi bisognosi e coloro che si spezzano la schiena per raggiungere uno stile di vita migliore o cercano di ottenerlo illegalmente.

In tutte queste categorie di persone ci sono quelli buoni, quelli cattivi, e quelli che cercano di mascherare le loro azioni meschine con qualche opera buona. Questi modi di vivere sono istigati dalla società stessa, creata da noi stessi, ed è questa l'assurdità. Per contro, la società è solo uno specchio della natura reale dell'uomo. Sembra che non esista via d'uscita. In realtà, l'uomo cerca una via d'uscita ma nel modo sbagliato. La paura ci governa. La paura della morte. Diciamolo apertamente: nessuno vorrebbe andarsene. Questo scatena l'istinto predatorio, l'egoismo, che è dentro ciascuno di noi. Tutti cerchiamo di innalzare il nostro status sociale, con un lavoro migliore, una promozione, un matrimonio, una società, e desideriamo accumulare beni, chi in una misura, chi in un'altra, ma è così. Certo lo facciamo per lasciare qualcosa dopo di noi: un'eredità ai figli, al coniuge, il ricordo di una buona azione o di una personalità di spicco della società. Qualunque sia la ragione vogliamo che, la nostra famiglia, i nostri cari, persino il nostro gatto, tutti traggano un beneficio dalla nostra morte.  Giusto. Ma dobbiamo pensare anche a lasciare un pianeta vivibile, non possiamo dire: ci penseranno loro, i giovani, perché questi penseranno che potevamo lasciargli un mondo migliore, nella migliore delle ipotesi, oppure seguiranno il nostro scellerato esempio. Purtroppo è per questa ragione che il pianeta sta morendo. Senza contare le persone potenti della terra che hanno e stanno prendendo quello che vogliono, sfruttano il pianeta, inquinano, si travestono da benefattori ma ciò che interessa loro è il profitto. Certo, anche loro hanno paura della morte e se potessero darebbero tutto quello che hanno per continuare a vivere. Infatti, stanno cercando qualche altro pianeta in cui si possa vivere, stanno ipotizzando che sia possibile effettuare viaggi spaziali, stanno studiando una soluzione per quanto riguarda la velocità, il grande limite per questo tipo di esplorazioni. Comunque, se anche si arrivasse a questo, ai viaggi spaziali, a trovare un altro pianeta in cui vivere, lo sapete che queste opportunità saranno alla portata solo delle persone ultra ricche? Ovviamente è una domanda retorica.

Per questo dobbiamo fare qualcosa, qui e adesso, per cambiare le cose.

Oggi, che i tempi sono un chiaro specchio di ciò che siamo diventati e che non c'è limite al peggio, siamo grati che esistano/resistano le persone di cuore ma esistono e resistono anche gli speculatori, gli egoisti, e anche se fossero numericamente inferiori ai generosi sono potenti e pericolosi. 

Si potrebbe pensare che siamo così perché la vita è breve e chi è qui, ora, deve approfittarne anche a discapito dei più deboli. Ma cosa li spinge ad accumulare ricchezze sulla pelle dei più poveri? Solo la sete di potere, l'illusione di trovare un elisir di lunga vita. Non il desiderio di cambiare davvero la società. Pensano a lasciare un'eredità ai figli? Ma davvero? E poi lasciano loro un mondo che va in rovina? Questo significa non solo pensare solo a se stessi ma anche mettere in pericolo i loro figli e i figli dei loro figli.

Posso capire un operaio, un semplice impiegato che lascia ai figli la propria casa, due soldi accantonati con fatica, ma un uomo ricco che non pensa prima di tutto a salvare il pianeta è solo un egoista totale. Non importa che molte opere siano già state fatte, sono una goccia in un mare di problemi mai risolti. Lo vediamo, è sotto al nostro naso: non abbiamo nemmeno una classe politica che ci tiene a fare marciare le cose per bene, quello che a loro interessa è la poltrona, i loro interessi personali, il prestigio. 


Photo by Wallace Chuck
Photo by Wallace Chuck


Photo by Wallace Chuck


12 giugno 2020. La poesia è un mezzo unificante? Può davvero creare momenti di condivisione?  Qual è in merito il pensiero del poeta?

 

Eccomi ancora con un'altra elucubrazione del mattino. Premetto che non vuole essere una riflessione provocatoria né polemica ma solo l'espressione di un mio libero pensiero.

Sui social sento spesso parlare di poesia come strumento di condivisione di pensiero, come un mezzo che contiene un alto potere unificante.

Posso essere d'accordo, in via generale, che la poesia come il romanzo storico, filosofico,  o qualsiasi altra narrativa di propaganda politica, sociale, culturale possa essere edificante nei contenuti e manifestare apertamente su un disagio presente nelle società delle varie epoche storiche e in quel caso unire il pensiero di molti intorno a un sentire comune che può riguardare la classe politica, il razzismo, la disuguaglianza sociale, l'ingiustizia, etc. 

Ma, potreste obiettare, la poesia non è solo questo è anche canto, inno alla vita, espressione della gioia e in quanto tale deve essere condivisa il più possibile perché solleva gli animi rendendoci partecipi della bellezza del mondo. Anche. Quindi, è giusto renderla fruibile a tutti, no? Senza ombra di dubbio. Inoltre, la poesia nasce insieme alla musica, recitata, quasi cantata, in mezzo alle vie pubbliche, condivisa con tutti. Però, soprattutto con l'avvento della stampa, la poesia si distaccò dalla musica diventando solo parola scritta; parola che può essere comunque recitata nei teatri, in televisione, nelle gare poetiche come i poetry slam. Quindi, la poesia ha una sua funzione sociale specifica e le rendo il merito che le spetta per questo. Ma, arrivo al punto, non sono d'accordo sullo smodato uso della condivisione poetica. Mi spiego meglio. Oggi vediamo che sempre più spesso si fanno antologie poetiche di autori vari, spesso vendute a scopo benefico e fin qui sono d'accordo, ho dato anche io il mio contributo, ma altrettanto spesso create al solo scopo di fare conoscere le nuove voci poetiche, altre con l'intento di condividere 'bellezza', altre con lo scopo di attirare l'attenzione su alcuni temi importanti, altre  solo per il desiderio di alcuni autori di farsi leggere e qui arriviamo al punto: sono poche le persone che leggono, non c'è un'adeguata conoscenza su cosa sia davvero la poesia (e non voglio dire a cosa serva perché, per me che scrivo poesia,  non serve ma siamo noi che ci mettiamo al suo servizio), la poesia non viene acquistata ma, nel caso, se proprio insisti, lasciami il libro che quando ho tempo lo leggo.  Questo è sbagliato, questo è controproducente. La poesia deve essere acquistata, come tutti gli altri libri. Non può essere sminuita in nome della 'condivisione' di gioia, bellezza, etc. altrimenti, di già che in pochi la leggono, non avrà mai il giusto posto che le spetta nel panorama letterario. Purtroppo è vista o come letteratura per una cerchia ristretta, e questo non è assolutamente vero, o  come una letteratura marginale, qualcosa che riesce a fare leva sulle emozioni, a fare  riflettere, sì, ma in fondo poi non narra, non ti coinvolge per due o tre ore in una trama avvincente. Mi conforta vedere che qualcosa si sta muovendo in tal senso, ci sono molte più CE che si interessano della divulgazione poetica ma non basta perché a monte persiste l'idea che la poesia sia patrimonio di tutti e in quanto tale debba essere alla portata di tutti gratuitamente. L'idea è nobile, certo, ma chiedete a un poeta cosa ne pensa di tutto questo.

Un poeta non pensa alla condivisione, scrive per se stesso e così fa anche lo scrittore. Il principio, la nascita della poesia, la sua origine è dentro al poeta è qualcosa che gli appartiene; la poesia spunta dall'intimità come un fiore dal terreno e sarà coltivata e fatta maturare nel privato, nel segreto antro dell'anima del poeta.

Il poeta è dentro a se stesso, calato nella sua sfera privata, nei suoi sogni, incubi, desideri, fobie, allucinazioni visive e uditive, nelle sue passioni, amori, delusioni, speranze.

Il poeta è geloso della sua intimità, spesso è riservato e recalcitrante perfino a leggere le sue poesie ad alta voce davanti a un pubblico. Non le scrive per uno scopo o con un qualsiasi intento di condivisione, il poeta se condivide lo fa per avere una conferma che ciò che gli esce dal cuore può essere amato, capito, abbracciato. Il poeta è un narcisista, innamorato della parola, della sua parola. Poi, quando ha esaurito la vena ispiratrice e una raccolta di poesie è scritta nero su bianco il poeta si placa ed è qui che entra in gioco il fattore condivisione; ebbene, non ci crederete ma il poeta è restio a separarsi dalla sua creatura, è parco nel postare i suoi scritti sui social e non per egoismo o avidità ma per pudore, gelosia nei confronti della sua sfera privata; al poeta gli sembra di denudarsi e si sente fragile. Il poeta non condivide così di buon grado e da questo si evince che non pensa di certo al guadagno. 

Ma un guadagno è giusto che vi sia. Perché un autore di romanzi, manuali, saggi, storici, è legittimato a vendere le sue opere e a pretendere il suo guadagno e il poeta no?

Per scrivere occorre tempo, fatica, ricerca, e vivere ha un costo. Lo sanno bene gli scrittori che per un romanzo si alzano due ore prima di andare al lavoro o vanno a dormire più tardi per buttare giù due paginette in word o usano il loro fine settimana sottraendo tempo alla famiglia. Il poeta non è esente da tutto questo, anzi l'ispirazione poetica è ancora più difficile da fermare su un registratore o da fissare su un taccuino perché le parole nascono libere, non costrette in una trama, non c'è un costrutto che faccia da linea guida ma è un sentire dell'anima, è un carpe diem assoluto. E, anche il poeta deve vivere e pagare le bollette, la spesa, la scuola per i figli, le medicine, l'affitto etc. quindi è giusto che abbia un compenso dalla vendita delle sue opere. Diffondiamo la poesia ma non con la condivisione smodata di antologie, poesie prese dal web di anonimi poeti, auto-pubblicazioni gratuite o a prezzo modico senza peraltro sapere se si è poeti davvero oppure no;  diffondiamo la conoscenza poetica, la sua essenza, i poeti del passato e quelli contemporanei che rimangono sconosciuti alla maggior parte della gente; diffondiamo la storia della poesia, come è nata, come si è evoluta, quali sono le norme che la regolano e perché esistono questi parametri, quando e perché  la poesia diventa manifesto politico e sociale, facciamo conoscere le voci nuove del panorama poetico con recensioni sincere e non di parte a libri editi e smettiamola di dire che la poesia è gratuita e che si dovrebbe condividere a man bassa sui social. Diamole dignità e il posto che da sempre le spetta nel panorama letterario.



15/04/2020

 

Le idee da sole non cambiano il mondo

 

Questa mattina, pensando alla ripartenza dell'Italia, ormai prossima (si spera), ho avvertito un enorme vuoto: il vuoto di una classe politica inesistente. Requie.

Delle idee che, oggi, ho avuto conferma essere morte. Requie.

Del popolo lasciato a se stesso, allo sbando, alla voragine che sta per aprirsi sotto i suoi piedi. Requie.

Non è disfattismo, negativismo, è una realtà sotto gli occhi di tutti. 

Io vi capisco e vi amo tutti, come avrebbe detto Nostro Signore, ma tremo nel vedere che non aprite i vostri occhi belli, che non volete vedere.

Ho appena fatto il mutuo. Ho appena avviato un'attività. La mia azienda era già in sofferenza e adesso non so come farò. I bambini hanno bisogno di andare al mare. Mio marito, mia moglie, mio figlio, mio padre, mia madre, mia nonna , mio nonno, mio fratello, mia sorella,  deve curarsi e non ha i soldi per la tale cura, o la tale operazione, o medicina. 

Mio figlio non vuole proseguire gli studi e sono preoccupata/o che non riesca a trovare un lavoro. Non so se percepirò la pensione perché ho sempre lavorato a tempo pieno ma i contributi non sono stati versati tutti.  Oppure , alcune aziende non li hanno mai versati, soprattutto quelle in cui lavorasti vent'anni fa. Io lavoro a interim. Io devo finire gli studi, inizierò tardi a lavorare, se trovo lavoro, poi? Devo sperare che aumentino ancora l'età pensionabile? Così,  nessuno arriverà più  a godersela la pensione? Perché una cosa è certa: la pensione deve essere quel momento della vita in cui un essere umano, dopo avere lavorato per un tot di anni, ha diritto a riposare, fare qualcosa per se stesso e la sua famiglia, dedicarsi ad altro, viaggiare, soprattutto avere di che vivere visto che sono soldi nostri quelli versati per la pensione! e invece no! tutto questo non è possibile quando vai in pensione a 68/70 anni, perché? perché  hai degli acciacchi, problemi familiari, un caro da accudire, quando va bene e quando va male hai problemi seri di salute e ringrazi quanto meno di essere ancora qui. Ma ognuno di noi può farsi una pensione integrativa, puoi dirmi. Oh, certo, se hai i soldi da versare, se l'azienda assicuratrice non fallisce, se fosse un'azienda specializzata in questo settore, e non quando le major si accaparrano tutti i settori assicurativi senza poi avere gli strumenti adatti a sostenerli. In Italia il sistema assicurativo è il più disonesto e ho già detto tutto. Noi siamo persone perbene, ottimiste, fiduciose e c'è sempre chi si approfitta di noi gente perbene che, spesso, non sa nemmeno a che santo votarsi per cercare aiuto, una soluzione concreta per risollevarsi  e allora, forse, qui, in questi momenti, si rende conto la gente perbene che qualcosa non va, non funziona, che vogliono farla fessa. Bastasse, bastassero questi momenti di presa di coscienza a smuoverla alla ribellione  a farle alzare la voce ma no, le danno un poco di ossigeno e lei, la gente perbene, si ributta nella mischia come capre alla fiera del bestiame. Il problema è alla radice e noi non lo vogliamo affrontare. Dovremmo ricordarci più spesso che siamo NOI l'Italia, noi gente perbene, lavoratori, genitori, nonni.

La vita è dura. Per tutti.  Ma questo non dovrebbe impedirci di vedere anzi, dovremmo renderci conto ancora di più di come stanno andando le cose nel nostro Paese. Appunto, NOSTRO paese, perché siamo noi a crearlo, comporlo, farlo stare insieme, farlo progredire e non i politici. Ormai la politica è inservibile, un oggetto non più funzionante, morta. Requie.

Ma, e le ideologie… Già, cosa sono? Le ideologie  e tutti i sistemi di idee non sono dotati di un'autonomia reale. Nascono dalla divisione del lavoro e dai rapporti di produzione che ne derivano. L'insieme dei rapporti di produzione rappresenta la struttura economica, che condiziona la sovrastruttura ideologica. Si tratta di rapporti condizionati dal periodo storico e dal particolare modo di produzione vigente in quella società. Siamo noi, l'ideologia, noi quando usciamo al mattino assonnati per correre a portare i figli a scuola poi correre al lavoro. Siamo noi che produciamo beni di primaria necessità, siamo noi che diamo istruzione ai giovani, siamo noi che conduciamo i mezzi per  le persone che devono spostarsi, siamo noi che trasportiamo le merci, noi e ancora noi che creiamo bellezza, siamo noi i proprietari della nostra Italia e nessun altro!  La classe politica dovrebbe solo organizzare un sistema già esistente, un sistema composto da esseri umani che stanno, ogni giorno, creando l'Italia. Invece, stendo un velo pietoso sui comportamenti dei politici ma non lo stendo sulle nostre azioni. Non voglio scusare, né giustificare in nessun modo, il nostro lassismo, il nostro non volere aprire gli occhi, il nostro scagliarci l'uno contro l'altro in difesa di quel politico o dell'altro quando quel politico e quell'altro pensano solo ai loro interessi perché se così non fosse avrebbero sospeso le tasse per tutto questo anno, avrebbero chiesto ai locatori di non fare pagare ai locatari  gli affitti dei locali( aziende, uffici, negozi, bar etc.)  per almeno tre mesi visto che le tasse quest'anno non si pagano. Ma così non si può fare, come si fa senza tasse, lo stato non avrà entrate andremo in miseria! Ma davvero? E, allora, dimmi come si fa a dare 600 euro a un barista, negoziante, ristoratore, quando questo ha da pagare l'affitto, le tasse, i dipendenti, le bollette, poi dovrà rifornirsi dei beni che gli servono per riaprire l'attività, sostenere le spese di sanificazione degli ambienti,  e ad avere la faccia tosta di dirgli ma vai, prendi il prestito, te lo concederanno le banche ( a parte che a questo crederò solo quando lo vedrò in atto) ? Ma certo, che bello, risponderanno i lavoratori? Non credo. E chi lo pensa sbaglia. Intanto bisogna rendersi conto che se un'azienda dopo un mese e mezzo di chiusura o semi chiusura è già al disastro economico significa che in Italia l'economia stava già andando moooolto male, e mi risponderete che questo si sapeva; bene, dico io, allora come possiamo pretendere che se una persona è già disperata possa indebitarsi per uscire dalla crisi?  Diventa la stessa cosa che mungere una vacca magra, forse prima si deve ingrassare un po' altrimenti non servirà più a niente. I lavoratori devono essere aiutati, messi in condizione di riprendere le loro attività e dopo si potrà pensare a foraggiare i vari comparti dello stato, dalla sanità, alla scuola, etc. Dopo, riavviando il sistema fiscale, pagando le tasse, potremo pensare al resto. Altrimenti, sarà il disastro economico. Purtroppo, temo che sarà così. Vedo che le persone vogliono solo pensare al loro orticello. Dici di no? Che tu fai beneficienza, porti la spesa al vicino anziano, regali mascherine? Certo, poi ti fai spremere di tasse, magari chiudi la tua attività lasciando molti dipendenti senza lavoro, magari fai un finanziamento, che bello respiro!, peccato che dopo morirai d'asfissia.

 

06/12/2019

 

DI COME ALCUNE PAROLE SIANO NEMICHE DEL PENSIERO DOMINANTE.

Anche questa mattina mi sono svegliata con un pensiero in testa, pensiero che era rimasto lì nei meandri della mente a covare e che ora ha deciso di uscire sotto forma di parole.

Questo pensiero è legato a una parola che avrete sentito  spesso: diversità.

A questa parola  sono stati attribuiti diversi significati. Più volte si è ribadito che non si deve usare a sproposito e ancora adesso io mi domando cosa sia lecito o illecito denominare diversità.

Non si può usare per le persone affette da disabilità. Va bene.

Non si può usare nei confronti di persone straniere, provenienti da altri paesi o aventi differente cultura. Va bene.

Non si può usare con le persone aventi un altro orientamento sessuale. Va bene.

Ora mi domando: una diversa cultura in rapporto a chi o cosa? Un orientamento sessuale altro  rispetto a chi o cosa?  Chi stabilisce cosa sia giusto o meno giusto? Perché si ha tanta paura di questa parola?

Io non ho timore di usarla: diverso, diversa, differente. Se ci pensate possiamo dire che l'aria di montagna e quella del mare sono diverse: una più asciutta, l'altra più umida; una più fredda, l'altra più mite e potremo continuare ma si fa prima a dire che sono diverse, che si differenziano per questi e altri aspetti.

Anche nel campo alimentare non troviamo ortaggi o frutta che abbiano tutti le stesse caratteristiche: si differenziano per colore, forma, gusto, provenienza. Sì. provenienza e  in questo caso è molto importante perché il luogo dal quale provengono certi alimenti ne determina le peculiarità. Però, se parliamo di provenienza per quanto concerne gli esseri umani non possiamo dire che siamo diversi, perché? Credo che la parola diversità sia stata demonizzata al punto tale che si è perso il suo originale significato.

TRECCANI dà questo significato: 1) l'essere diverso, non uguale né simile d'aspetto, di colore, di opinioni, di gusti. Diversità biologica, lo stesso che biodiversità. Anche, ciò per cui due o più cose sono diverse: notare le diversità; queste diversità vanno scomparendo.  2) In filosofia, termine che indica la negazione dell'identità e che, soprattutto nella filosofia scolastica, è usato con riferimento a realtà di genere diverso. 3) La condizione di chi è, o considera se stesso,  è considerato da altri 'diverso': manca una reale accettazione della diversità  e, aggiungo io, è questo il vero problema. 

Penso che ci sia molta ipocrisia intorno a questa parola, ipocrisia che l'ha schiacciata e snaturata al punto tale che non si può più usare con tranquillità.

Io mi sono sempre sentita dire che sono diversa. Da piccola stavo per i fatti miei, non rispondevo se mi chiamavano perché ero persa dentro a un mio mondo, a scuola dissero che dovevo andare in una scuola speciale perché ero più avanti degli altri, non giocavo con gli altri bambini ma con un microscopio, i soldatini, leggevo in continuazione. Quindi difficoltà di rapportarmi con il mondo circostante, di inserimento nella società, di stabilire rapporti affettuosi e duraturi con le altre persone. Insomma, un disastro, vero? Invece, no. Sono diversa da te, ma tu sei diverso da me e da altri. Questa è la sola verità. Perché avere paura di chiamare le cose con il loro nome?  Non è una parola negativa ma solo un mezzo per indicare un dato di fatto: io ho i capelli chiari e tu scuri; ho gli occhi chiari e tu no; sono nata in Italia e tu in un altro paese; tu sei mussulmano io agnostica; tu mangi carne io pesce; tu parli una lingua io un'altra; qual è il problema? Il problema sta nell'ipocrisia della gente, nell'ignoranza abissale nella quale sono immersi.  L'ignoranza mi terrorizza perché è un'arma micidiale  in mano a persone che non ragionano con la loro testa ma si conformano al pensiero dominante.

Esatto, il pensiero dominante è quel pensiero che viene adottato dalla maggioranza delle persone e intorno a questo viene costruita la società: più persone la pensano allo stesso modo su un problema, su come risolverlo, su come si deve vivere nella società, su come ci si deve comportare, su quali gusti sessuali sia lecito avere o meno, su chi sia abile o non abile, e più ci si allontana dal vero senso della parola diversità. Oggi, persino pensare deve essere omologato a ciò che la società ritiene giusto o sbagliato. Ma tutto questo non significa affatto che la massa abbia ragione o che il pensiero dominante sia quello giusto. Su molti aspetti della vita è vero che il buon senso può aiutare a capire come orientarsi su ciò che è bene  e ciò che è male ma se la massa ha stabilito che è un male o un bene un certo atteggiamento non è detto che sia la verità assoluta. Spesso è il frutto delle paure dell'uomo, perfino della sua malignità, dell'invidia, della frustrazione, o semplicemente della non conoscenza e della poca onestà intellettuale e, cosa non di poco conto, la maggior parte delle volte è dovuto agli interessi economici di alcuni che devono essere tutelati. Persino ciò che per la maggioranza è un bene deve essere analizzato con attenzione: spesso non è un bene lavorare dieci ore al giorno, sottopagati, non avere tempo per sé o la famiglia, mangiare cibo scadente, essere costretti a vivere in città piene di smog. Molti dicono che sono loro stessi che vogliono vivere in città, che morirebbero lontano dalle comodità, che è una loro scelta. In qualche misura è vero, a tanti piace stare in mezzo alla folla, avere una vita piena, correre dalla mattina alla sera, uscire con gli amici e avere tutte le comodità: riscaldamento, telefono, internet, negozi di ogni genere aperti fino a tardi, centri commerciali dove trascorrere le fredde domeniche invernali e molto altro, ma spesso tutto questo è troppo, diventa pesante, stressante, molte persone prendono psicofarmaci o vanno dallo psicologo perché hanno perso di vista la dimensione più umana della vita. Aumentano i suicidi, gli omicidi, all'interno delle famiglie non ci sono più rapporti equilibrati e sani perché ognuno vive insieme all'altro pensando sempre di più a se stesso. Credendo di essere alla moda, sentendosi ben inserito nel tessuto sociale e un vincente, l'uomo non si rende conto che in realtà ha lasciato che il pensiero dominante cambiasse tutto il suo essere, le sue idee, convinzioni, la sua moralità, la sua visione del bene e del male. Oggi l'uomo è forgiato dal pensiero dominante e anche se, in alcuni momenti di lucidità, intravede che quella non è del tutto la sua strada e si domanda che cosa stia facendo, ecco che la società stessa non gli permette di soffermarsi su questo pensiero ma lo spinge a correre, sempre più avanti, sempre più in fretta.

Così capita che alcune definizioni che erano sempre state usate secondo il loro giusto significato vengano considerate tabù. Diversità. Parolaccia che se ti scappa di bocca suscita gli sguardi indignati degli astanti.

Invece io la uso. Voglio usarla, per me non è sbagliato dire che gli uomini sono diversi perché è una verità oggettiva: siamo diversi fisicamente, parliamo lingue differenti, abbiamo usi e costumi tipici dei paesi natii o di provenienza, ergo abbiamo religioni diverse, leggi diverse. Tutto questo è reale, non è un errore o una aberrazione usare la parola diverso. Questo non vuol dire che non abbiamo tutti gli stessi diritti, affatto! Ogni uomo ha diritto a vivere con dignità, a vivere sentendosi protetto dalla società, a poter contare su un buon stipendio che gli permetta di mantenere se stesso e la famiglia; abbiamo diritto a vivere in sicurezza, allo studio, alla salute. Eppure, vedete che il pensiero dominante non ha portato l'uomo ad avere tutto questo. Eppure, la massa non garantisce i nostri diritti come uomini liberi e cittadini. Eppure, ci scandalizziamo se si usa la parola diverso ma non se una famiglia, o un singolo, viene sbattuta in strada perché i genitori hanno perso il lavoro e non hanno più mezzi di sostentamento. Però, in nome di quella uguaglianza che ha sotterrato la parola diversità è giusto dare le case a chi non è cittadino italiano. Lo so, è un discorso scomodo ma sincero. Per me tutti gli uomini sono uguali davanti a Dio e alla legge e devono essere tutelati e potere godere dei medesimi diritti. Ricordiamoci che ci sono anche dei doveri e che la società non si può cambiare se non ragioniamo più con la nostra testa.  Non possiamo lasciarci indottrinare e diventare tutti delle marionette, perché è evidente che è quello che sta succedendo. Tu lo vedi?

 


Foto by Shamia Casiano
Foto by Shamia Casiano

L'Amore vero, assoluto, con la a  maiuscola esiste oppure no?

 

Per saperlo dobbiamo smettere di porci questa domanda il cui enunciato presuppone una risposta chiara e senza alternative: esiste, non esiste.

 

L'amore è complesso perché è formato da un insieme di sentimenti quali: affetto, tenerezza, passione, stima, fiducia o il loro contrario.  Inoltre, questi sentimenti possono essere presenti in misure differenti a seconda della quantità e qualità. A volte, e questo capita nelle coppie in crisi, sono presenti molti più sentimenti negativi come il senso di colpa, la rabbia, la gelosia; altre, e questo succede nelle coppie di fresca formazione, sono in maggioranza quelli positivi quali la passione, la stima, la fiducia e la tolleranza. Dunque, si potrebbe pensare che  l'amore vero, che dura per sempre,  sia prerogativa  di coloro che sapranno mantenere in equilibrio questi sentimenti all'interno della coppia? Sì, questo 'segreto di pulcinella' è l'unico modo per mantenere viva la complessità del sentimento chiamato amore ma non possiamo chiamarlo amore vero o amore che dura per sempre perché questa definizione implica che tutti gli altri sentimenti non siano veri o quanto meno non siano amore.  Sarebbe meglio dire che quella coppia è riuscita con molto impegno e lavoro a costruire un nucleo familiare all'insegna dell'amore. L'amore nella sua complessità di sentimenti è più simile a una costruzione che richiede risorse, fatica, anni, e che forse non giungerà mai al completamento. Lungi da me affermare se ne valga la pena o meno; questo ragionamento è stato solo la base dalla quale sono partite le mie elucubrazioni mentali di primo mattino. Dunque,  possiamo affermare che l'amore  è un contenitore ad alto potenziale di esplosività ma non esistono manuali d'uso, solo buona volontà e buon senso ci permetteranno di non farci male perché è proprio questo il problema  vero insito nella domanda di cui sopra: se l'amore vero esiste posso soffrire mentre spero di trovarlo ma se non esiste a quel punto è inutile soffrire. Non è raro, infatti, sentire persone affermare di non credere all'amore o di non crederci più, questo perché sono amareggiate e hanno sofferto. Ma questo atteggiamento è dovuto alla disillusione, all'essersi esposti troppo in relazioni sbagliate, alle aspettative deluse. Insomma, spesso le persone (userò il termine persone includendo sia uomini che donne) non sanno riconoscere il contesto nel quale si stanno lasciando coinvolgere e succede per diverse ragioni: una è dovuta  all'educazione ricevuta, ai vari pregiudizi acquisiti durante la crescita,  all'educazione religiosa e  al contesto sociale in cui si vive; l'altra ragione è dovuta a noi stessi che ci predisponiamo favorevolmente ad andare incontro alla delusione, spesso accecati dal nostro sentire ci lasciamo coinvolgere al punto di non ascoltare la vocina della nostra ragione che ci richiama all'ordine: pare proprio che certe situazioni ce le andiamo a cercare! Perché? Perché se l'amore è un caleidoscopio di sentimenti non possiamo negarli quando ce li troviamo di fronte o arrenderci ad essi senza conoscerli.  A volte capita di provare attrazione fisica per una persona fin dal primo momento in cui la conosciamo. L'avvertiamo questa attrazione e ci rendiamo conto che sta agendo su di noi: ci avviciniamo, sentiamo il bisogno di un contatto visivo e fisico, siamo più allegri e ridiamo anche per cose futili, aumenta la nostra libido, il nostro corpo si sta predisponendo a sostenere un eventuale rapporto intimo. In questi casi molte persone consumano il rapporto fisico senza troppi problemi e sono: persone libere da impegni sentimentali, persone impegnate  ma sessualmente insoddisfatte ( ci sono anche delle sottocategorie che prendono in considerazione altri aspetti quali l'età ma sarebbe troppo lunga l'esposizione) che classificano questo momento come una avventura e fine della storia. Molte altre persone si tormentano con domande del tipo:  e, se poi mi piace troppo questa persona? Mi piace molto, chissà se dopo vorrà rivedermi? Se ci vado a letto penserà male di me?  Posso tradire il mio coniuge, convivente, senza sentirmi in colpa? 

Da queste domande vediamo come  alcuni si siano già lasciati coinvolgere da quella che era solo, in quel momento, un'attrazione fisica; inoltre, stanno cercando di giustificarsi per quello che di lì a poco faranno, come se non fosse concesso vivere una espressione dell'amore per quello che è.  Se fossimo capaci di prendere la vita per quello che è senza complicarcela per forza non ci faremmo queste domande. Molte relazioni sono nate in questo modo, è vero, ma non può essere il presupposto a guidare le nostre azioni o rischiamo di rimanere delusi.  Credo che l'amore tra due persone  sia come un fluido che circola liberamente e in modo naturale, non possiamo ostacolarlo fin dai suoi albori. Molto spesso, invece, questi incontri rimarranno un piacevole ricordo e basta. Una persona equilibrata, che si ama, che si conosce bene, non ha nessun problema nel riconoscere la fugacità di quel sentimento ( la passione, l'attrazione) e nel proseguire la sua vita senza rimpianti o rimorsi perché quel momento sarà stato comunque una espressione dell'amore che per un breve attimo ci ha toccato ma non ha trovato i presupposti per crescere ed è rimasto un atto fine a se stesso. 

Altre volte, anche se raramente, proviamo attrazione mentale o spirituale per l'altra persona e anche questa si manifesta presto: dopo poco che parliamo o che scriviamo ( senza dimenticarci che oggi con internet ci sono molte più possibilità di rapportarsi con gli altri)  con qualcuno, dopo avere capito che si hanno molti punti in comune, semplicemente sentendo l'altro e riconoscendolo come fosse una parte di sé. Sono le attrazioni più complicate da gestire,  non implicano che vi sia attrazione fisica ma non si riesce a fare a meno di quella persona, si ha bisogno di parlare, scambiare informazioni, esperienze, ci si sente euforici e pieni di energia proprio come succede nelle attrazioni fisiche. A volte sono i migliori amici del tuo partner e scatenano gelosie nell'altra metà della mela. Anche in questo caso si dovrebbe capire che siamo stati sfiorati da un sentimento e che il viverlo non preclude il normale svolgersi della nostra vita, anche quella di coppia. L'importante è conoscerlo questo sentimento e dargli il giusto posto.  Questa è un'amicizia speciale che dovrebbe sempre rimanere tale, la differenza la faranno le due persone coinvolte se la gestiranno con intelligenza e sincerità. Non potrà funzionare se uno dei due coltiva il desiderio che quel rapporto si trasformi in qualcosa d'altro, a questo punto la poca onestà dell'uno potrebbe causare problemi nell'altro e costringere i due a rompere questa relazione privilegiata. Succede che due amici si ritrovino poi compagni di vita, non lo nego, ma anche in questo caso non possono essere i nostri desideri a guidare le nostre azioni e parole pena il rischiare una forte delusione. Dobbiamo prendere quel sentimento per quello che è: una piacevole sintonia, un feeling che non si trova tutti i giorni e saperlo apprezzare per quello vale; anche questo sentimento è un'espressione dell'amore che ci tocca ma che non trova il terreno adatto per crescere e rimane solo amicizia.

Allora cosa serve all'amore per diventare amore di coppia? Questa è la domanda giusta: l'amore ha bisogno di passione e spiritualità che si deve essere capaci di mantenere in equilibrio. L'equilibrio non è dato dalla presenza di questi sentimenti in proporzioni uguali, al cinquanta per cento, ma giuste. In una coppia potrà prevalere l'amore spirituale, in un'altra l'amore fisico ma devono esserci tutti e due i tipi d'amore. La coppia si spezza quando non c'è più attrazione fisica o al contrario quando manca l'affinità mentale e non ci si capisce più.

In conclusione, abbiamo due espressioni dell'amore: quella fisica e quella spirituale che possono essere vissute in quanto tali senza altre implicazioni e che, se amalgamate bene, daranno origine all'amore di coppia.

L'amore spirituale e quello fisico per essere vissuti in quanto tali, senza ulteriori implicazioni, richiedono un certo grado di libertà mentale. Purtroppo non apparteniamo  a una società libera. I pregiudizi, il perbenismo, il falso moralismo, imperano e dilagano. Mi auguro che i giovani sappiano costruire una società migliore sotto tutti i punti di vista. Una società in cui ci si potrà amare senza preconcetti.

 




Questa mattina mi sono svegliata pensando alla morte o meglio: pensando; dunque essendo vivente. Mi sono ricordata della frase Cogito ergo sum di Cartesio e dal quel momento sono iniziate le mie elucubrazioni mentali del mattino. Mi sono domandata: cosa ti spaventa di più della morte? Tante cose. Non potere più camminare, ammirare un tramonto, bere e mangiare, amare, non vedere più i miei cari ed essergli vicino. Ecco questo ultimo punto è quello che mi ha fatto sentire triste ma subito ho avuto un pensiero ancor più spaventoso: smettere di pensare; questo è ciò che mi spaventa della morte. Non esistere più, non con il corpo ma con la mente. Penso dunque sono, o penso dunque esisto. Sono, esisto: vivo. E quel penso? Cosa significa realmente? Non può essere solo l'elemento che ci contraddistingue dagli animali e dalle cose inanimate. In effetti, quel penso io lo percepisco come forza vitale, energia, anima, soffio di vita. Che non è prerogativa solo degli uomini. Noi abbiamo la tendenza a credere che ciò che è diverso da noi non sia umano ma non per questo non vuol dire che non sia vivente. Gli animali non sono viventi perché non siedono a tavola, non parlano, non lavorano, non amano come noi? No, certo che no. Anche se crediamo che l'uomo derivi dalla scimmia possiamo immaginare che non pensasse? Sicuramente l'uomo delle caverne aveva dei limiti. Se ne incontrassimo uno oggi forse lo considereremo come un animale. Ma aveva comunque dentro di sé questa forza vitale, il pensiero. In qualche misura appartiene anche agli animali. Non dobbiamo credere che, solo per il fatto che esista incomunicabilità con alcune specie queste non abbiamo il pensiero. Non lo sappiamo, non è una certezza. Forse non arriveremo mai ad avere una conoscenza specifica di quello che succede nella mente ma anche loro hanno un soffio vitale. Quel qualcosa dal quale è scaturita la vita. Penso dunque sono. Penso, ho coscienza di me stesso in rapporto al mondo; penso dunque ho sentimenti, che, per me, nascono prima nella mente come pensiero, Idea, poi sono avvertiti tramite il corpo che altro non è che il nostro involucro, una macchina quasi perfetta che aiuta a tradurre il pensiero. Se penso che non ci sarà più il corpo non mi spaventa tanto quanto la cessazione del pensiero.

Il corpo è uno strumento utile: la vista, per esempio, serve per vedere il mondo ma potremmo dire che serve a visualizzare l'Idea del mondo. Può essere che i nostri occhi siano simili a dei proiettori o comunque ci rendono tangibile, concreto, il mondo che altrimenti l'anima non riuscirebbe a vedere. Io credo che in realtà siano proiezioni dell'anima, del pensiero, queste immagini. Penso dunque esisto. Quando moriamo il corpo si disfa e il pensiero? Dove va? Mi piace pensare che la mente, il pensiero, l'anima, esisterà ancora. Ho detto mi piace pensare, allora sarà un inganno della mente o una proiezione di un mondo diverso dove l'anima andrà alla nostra morte?


14 Aprile 2018

 

 

Questa mattina mi sono svegliata, erano le cinque, senza alcun motivo apparente. Credo stessi sognando, anche se non ricordo, perché la mia mente ha cominciato le sue solite elucubrazioni mentali. Così, i dieci comandamenti hanno occupato i miei pensieri. A quel punto non mi è rimasto altro da fare che alzarmi, preparare il caffè e prendere nota di tutti i miei ragionamenti.

Dicevamo, i dieci comandamenti che Dio diede al suo popolo e che sarebbero dovuti servire a noi uomini peccatori per non deviare dalla retta via.

 

 
   
   
   
   
   
   
   
   
   

 

Io sono il Signore Dio tuo:

 

1 Non avrai altro Dio fuori di me

2 Non nominare il nome di Dio invano

3 Ricordati di santificare le Feste

4 Onora il Padre e la Madre

5 Non uccidere

6 Non commettere atti impuri

7 Non rubare

8 Non dire falsa testimonianza

9 Non desiderare la donna d'altri

10 Non desiderare la roba d'altri

   
   
   

Il primo pensiero che ho avuto è stato: perché Dio, che dovrebbe averci creato e dunque si presume che sia un essere superiore e perfetto, ha dovuto darci i dieci comandamenti? Come è possibile che gli uomini abbiano peccato? Ci propinano la storiella di Adamo ed Eva ma se noi veniamo da questo essere perfetto abbiamo in noi una parte di questa perfezione e la perfezione di Dio non può diventare imperfetta o deteriorarsi o macchiarsi con il peccato.

I testi sacri parlano un linguaggio comune, figurato, che gli uomini possono capire perché hanno conoscenza solo del loro mondo e lo conoscono dalla nascita attraverso i sensi. Per esempio: prendiamo un bambino che dalla nascita venga posto in una stanza al buio, da solo. Toccherà il suolo e le pareti con le mani, sé stesso, prendendo confidenza con ciò che ha intorno. Ascolterà i rumori esterni o i passi di chi gli porta da mangiare. Acuirà la vista arrivando a vedere nonostante sia buio. Forse emetterà dei suoni con la bocca perché non conosce il linguaggio e avrà un pensiero primitivo. Per comunicare con lui si dovrebbe stare in quella stanza buia, essere uguale a lui. Conoscerà quel mondo e quello per lui sarà la realtà. Se da adulto lo portassimo nel nostro habitat rimarrebbe sconvolto, penserebbe di essere tra gli alieni, perché per lui ha ragione di esistere solo il suo mondo che ha conosciuto. 

Di conseguenza noi esseri umani abbiamo bisogno di capire le cose attraverso ciò che ci è noto. Per questo la Bibbia è piena di metafore, per parlare il nostro stesso linguaggio e poco importa se non riusciamo a dipanare la matassa o sollevare il velo della verità; ciò che conta, evidentemente, è credere che esiste qualcosa o qualcuno che ci ha dato la vita: che sia Dio, una forza, un'energia, un alieno, un essere spirituale noi ce lo raffiguriamo secondo i nostri canoni mentali. Se pensiamo a qualcuno di etereo vediamo una specie di nebbia che disegna quasi una figura corporea, così gli angeli li vediamo come esseri alati, così Gesù ha dovuto divenire umano per essere quanto di più prossimo ci sia alla nostra razza e solo così farci avere una piena comprensione del rapporto Padre e Figlio che ci lega al nostro Creatore.

Quindi dovremmo accontentarci? Affidare la nostra vita alla fede? Al dogma?

 

Mi sono chiesta come mai i dieci comandamenti inizino parlando proprio di Dio, di come lui sia unico, sia il nostro Signore e noi non dobbiamo avere altri dei all'infuori di lui. Dunque Dio è potente. Grande. Inavvicinabile. Increato. Incomprensibile. Immortale. Perfetto. Io non credo che il primo essere umano abbia potuto peccare. Facciamo un esempio: Dio, o qualsivoglia forma di creatore, è una gigantesca piovra con mille tentacoli è lui stesso il mondo, il cosmo. La sua energia diminuisce verso la periferia e aumenta verso il centro del suo essere ( questo lo devo supporre per forza di cose, per lasciare un margine di ragionamento, altrimenti l'uomo non potrebbe assolutamente essere imperfetto, anzi, saremmo dei). Ammettiamo che l'umanità sia stata creata sulla punta di un suo tentacolo dove la sua energia è minima. Ha! Giustamente pensavo all'energia o qualcosa di simile per giustificare la creazione perché anche che si fosse trattato di un atto volontario della mente avrebbe avuto bisogno comunque di una qualche forma di energia per essere portato a termine ( questo aspetto dell'energia me lo segno perché ho già diverse domande da pormi ma in altra sede). Bene, l'umanità dimora sulla punta di un tentacolo divino. L'umanità ha in sé una parte di perfezione incorruttibile. L'uomo è un'estensione del divino potere. Ecco dunque che Dio è in noi e noi siamo in lui. Come possiamo avere peccato? Come riusciamo a fare del male al nostro prossimo, a commettere omicidi e reati inenarrabili, a calpestare i diritti umani? D'altra parte non possiamo considerare che l'uomo e Dio siano nettamente separati, ossia Lui lassù divino e potente che si è divertito a creare un pianeta abitato e noi sulla Terra abbandonati a noi stessi, non ha senso perché la scintilla creativa di Dio ha sprigionato energia divina e questa è in noi, siamo per forza legati a Dio o in qualsiasi modo voi lo chiamate. I primi due comandamenti mi hanno fatto riflettere: non avrai altro Dio fuori di me. Visto che viene usato il nostro linguaggio devo per forza ragionare intorno a esso. Cosa significano queste parole? A ben vedere, se Dio si preoccupa di questo e ce lo comanda, ci sono altre divinità? Dunque esistono altri mondi? Dio non è il tutto, il cosmo, l'umanità? Personalmente, non lo so. Non so nemmeno se esista un dio. Però, perché Dio ha messo questo comandamento al primo posto? Cosa lo preoccupava se c'è solo lui ed è perfetto? E quel fuori di me o in altri testi all'infuori di me come lo giustifichiamo? Sembrerebbe che c'è un 'fuori' rispetto alla sua persona o natura, che vi siano 'altre' divinità intorno a lui.

Il secondo comandamento: non nominare il nome di Dio invano, anche in questo caso il linguaggio è chiaro. Dio è 'qualcosa' che noi possiamo personificare perché ha un nome, nome che noi diamo a tutte le cose e alle persone così le conosciamo e riconosciamo. Intanto qual è questo nome? Sì, la Bibbia ne parla a cominciare dal tetragramma ebraico, quindi sembra che Dio abbia un nome. Il secondo comandamento sembra che serva per renderlo più simile a noi senza dimenticare di portargli rispetto, per questo non possiamo nominarlo invano. Penso che sia solo un modo per avvicinare il credente a questa figura spirituale; renderlo umano e farlo sembrare un padre usando il nostro linguaggio per rappresentarlo come fosse un capofamiglia che detta le regole in casa sua, provvede ai bisogni dei suoi familiari, impartisce la giusta educazione e punisce quando occorre. Una persona di tutto rispetto. Ma cosa significa? Che Dio è un essere intelligente, che si prende cura di noi quindi agisce, pensa, punisce e perdona quindi ha una coscienza, insomma ci assomiglia. Quindi in noi dovrebbe esserci una parte di divino, non possiamo essere imperfetti peccatori. I primi due comandamenti ci dicono proprio questo: io sono il tuo creatore, tu provieni dalla mia energia, io sono in te al punto che...tu non potrai avere altri dei all'infuori di me. Dunque potrebbe essere che questa frase sottolinei, invece che la molteplicità, l'unicità di Dio.

A questo punto, se credo in Dio, mi domando come sia possibile che l'uomo sia imperfetto e peccatore. Non può essere. Gli avvenimenti descritti nella Bibbia, ricordiamolo, sono allegorici, metaforici, ma non mi danno soddisfazione. Che sia avvenuto qualcosa, a un certo punto, per cui l'uomo da perfetto sia diventato imperfetto faccio fatica a crederlo, come non credo che Dio abbia mandato qualcuno in veste d'uomo a salvare l'umanità. Oppure potrei crederlo se in noi non ci fosse più nulla di divino, a quel punto Dio, che non può manifestarsi in quanto energia allo stato puro, avrebbe bisogno di un intermediario simile all'uomo da inviare tra di noi per riscattare l'umanità (?), ma in che modo? A cosa serve? Anche prima della venuta di Gesù coloro che avevano fede sapevano che dovevano comportarsi in un certo modo per compiacere Dio, per non peccare, per vivere una vita cristiana. Per fondare la Chiesa, forse? Perché Dio avrebbe bisogno di altri esseri imperfetti per prendersi cura, spiritualmente, dei loro simili? Non ha senso visto che Gesù era il Figlio di Dio, espressamente inviato da lui, nato da una vergine( a sottolineare la purezza). Non ha senso nemmeno che lui sia il fondamento della cristianità perché tutto ciò che si erige al di sopra di quel fondamento è impuro. Non penso che si possano lavare i peccati con la fede perché se così fosse vorrebbe dire che l'uomo non ha l'anima, e invece ci dicono che la fede salvi l'anima. Se abbiamo l'anima questa è perfetta, è quella parte di divino che ci lega a Dio ( in relazione all'anima ci sono diversi credi, alcuni di questi sostengono che vi siano diversi tipi di anima, che l'uomo sia formato da tre anime principali e altre due, più simili a Dio, siano possedute da pochi eletti). Sono convinta che nell'uomo ci sia qualcosa di speciale, meno convinta che vi sia un creatore o quanto meno che sia un dio, ma siamo imperfetti nella carne e si direbbe perfetti nello spirito, o nell'anima, che a questo punto ritengo non possa avere influenza particolare su di noi, ossia non interviene negli affari umani. L'anima non è la coscienza, è altro. Insomma, sono sempre più convinta che da esseri perfetti non avremmo mai potuto cadere nel peccato. Siamo stati creati già difettosi? E che senso avrebbe? Sarebbe un creatore sadico e cattivo. Forse è molto più semplice trovare una parvenza di risposta nel processo evolutivo. Però mi affascinano i testi sacri e penso che a qualcuno possano essere serviti. Bene, per oggi ho finito le mie elucubrazioni, gli ingranaggi fumano, ma ho molto materiale che sarà oggetto di elucubrazioni future!

 

   
   
   
   
   
   

 

 

Photo by Wendelin Jacober
Photo by Wendelin Jacober

Elucubrazioni del mattino 23/09/2020


Scegliere o non scegliere?


Stamattina mi ha svegliata, come al solito, un pensiero: le scelte sono obbligatorie o ci si può astenere dal farle? 

C'è chi crede che  astenersi dal compiere una scelta produrrà comunque lo stesso effetto senza però il dispendio di energie, di tempo, di ansia, che procura il prendere una decisione. Quindi, alcune persone rimandano sempre, rimettono a domani quanto potrebbero fare oggi, tergiversano, e questo, non solo non è produttivo, alla lunga rende più deboli, insicuri, fragili. Alla fine, la scelta sarà effettuata in un modo o nell'altro attraverso micro-scelte quotidiane che diamo per scontate e che ci danno l'illusione di stabilità, immobilità, ripetitività, e che, appunto per questo, ci tranquillizzano mentre scegliere implica attività da parte nostra, include la nostra persona intera in quel processo e ci sembra di essere troppo esposti: spesso, il fare ci fa sentire vulnerabili mentre il non fare ci calma.

 Per contro, altre persone la pensano al contrario: fare è per loro un modo di avere tutto sotto controllo e sentirsi più forti, meno esposti all'imprevedibile, mentre tutto ciò che non possono decidere autonomamente li stressa. Anche in questo caso ci sono conseguenze perché ogni scelta effettuata produrrà il cosiddetto 'effetto domino' e non possiamo prevedere tutte le implicazioni e gli imprevisti che si porterà dietro la nostra decisione. 

Dunque, sembra che scegliere o non scegliere non sia la domanda giusta poiché, siccome si tratta comunque sempre di libero arbitrio, una scelta annulla l'altra. O, forse la vita è solo un labirinto pieno di porte da aprire, una scelta continua, e basta? 

Piuttosto, penso che l'uomo non si trovi sempre di fronte a due o tre opzioni, come siamo abituati a credere, e che sia così importante scegliere bene, ma che abbia di fronte solo la vita da vivere. Per cui, non importa che via si sceglie, basta prendere quella che IN QUEL MOMENTO ci sembra la migliore per noi, e poi andare avanti.

Dobbiamo andare avanti, non fermarci troppo a ragionare su cosa sia opportuno o no fare. Dobbiamo piantare un albero, fare casa, aiutare i nostri familiari e i bisognosi, nel rispetto della libertà altrui (sempre!) fare ciò che ci piace e ci fa sentire bene e sì, 'scegliere' se fare un lavoro o l'altro, se sposarci o no, se partire o restare, etc. Innumerevoli decisioni che altro non sono che vita: non importa cosa si decide, perché la decisione è una mera illusione creata per confondere la mente, basta farlo e senza rimpianti! Questo è importante, non avere rimpianti, essere decisi e convinti nel prendere una strada e non voltarsi mai, o la vita sarà stata sprecata. Ma non sarà mai sprecata se cercando di realizzarla come desideriamo non dimentichiamo che siamo qui con un altro scopo: imparare e non vivere necessariamente da nababbi (come tutti vorremmo, siate sinceri). Nel corso della mia vita ho imparato che è nell'attimo che si crea la più grande ricchezza, nella condivisione, nel mostrare amore e compassione e non nel rimpiangere ciò che si poteva essere ma che non è stato, e né più sarà. Anche noi siamo movimento continuo, il nostro corpo, la nostra mente, vanno avanti e noi dobbiamo assecondare questo movimento naturale o potremmo non essere mai felici o ammalarci. Facciamo ogni giorno una buona azione, non occorre andare lontano magari un nostro vicino ha bisogno, dedichiamo una parte della giornata a noi stessi, preoccupiamoci di elargire un sorriso, di essere forti nel dolore, di provare ancora amore, di essere gentili e generosi, e di essere ancora vivi.